Saturday, November 28, 2020

 SURFACE
 

 


 

  Testo di Andrea Luporini



Il lavoro di Daniela Spaletra non si limita ad affermare che “siamo tutti uguali”: questa frase, nella sua accezione comune e nel suo bonario paternalismo, rischia di diventare una scusa per ignorare le differenze, per rimanere isole circondate da ciò che più ci rassomiglia, rimanendo poi spiazzati di fronte a ciò che percepiamo come diverso.

SURFACE ricompone quell’arcipelago che chiamiamo razza umana in un’ideale mappa.

Dipingendo di bianco il volto dei suoi soggetti, l’artista compie un gesto antichissimo, un ribaltamento della percezione del mondo che i Greci spiegavano col mito dell’uccisione di Dioniso, divinità primordiale della natura vitale e selvaggia, anello di congiunzione fra Gé e Ctòn, il mondo illuminato dalla luce e quello degli abissi.

Dioniso rappresenta il Globo, inarrestabile e inconoscibile nel suo continuo movimento, così, per poterlo fermare e renderlo vulnerabile ai loro pugnali, i Titani inviati da Era escogitano un piano semplice e disarmante: gli dipingono il volto di polvere calcarea durante il sonno. Al risveglio, il dio si guarda allo specchio e non si riconosce, il velo che ricopre il suo viso lo nasconde ai suoi stessi occhi, trasformandolo in una chiara superficie per la prima volta distinguibile e, per questo, mai vista prima. Questo momento di stasi è sufficiente a far sì che i Titani possano afferrarlo e smembrarlo in sette pezzi.

Il mito racconta poi che Apollo ricomporrà il corpo del fratello appoggiando le sue parti su un altare, sottraendo una dimensione al globo e riducendolo a un piano. Così facendo, di fatto, crea la prima carta geografica, mette una accanto all’altra parti prima divise e tra loro irriducibili, rendendo possibile l’invenzione di uno strumento (la scala) che ha permesso all’uomo di creare quella che oggi definiamo Terra, uno spazio che le nostre conoscenze ci permettono di esplorare nonostante le differenze morfologiche che lo contraddistinguono.

La Terra, per Carl Ritter, non è solo una dimensione fisica ma è soprattutto “la casa dell’umanità”; per questo, con SURFACE, Daniela Spaletra compie un passo ulteriore e ci fornisce una mappa del genere umano, ricordandoci che non siamo isole ma individui posti uno accanto all’altro all’interno di un unico piano.

Lo strato bianco immobilizza il soggetto, lo neutralizza, mostrando la superficie di carne comune a tutti noi: l’artista utilizza i suoi pugnali per separare i volti dai preconcetti che utilizziamo quotidianamente, siano essi di razza, genere o quant’altro.

I contenitori di colore, che riproducono la pigmentazione della pelle delle persone fotografate, diventano la legenda che ci permette di decifrare questa carta, ci ricordano la diversità propria ad ognuno di noi, necessario completamento di questo “grado zero” che intimamente siamo. Ogni viso ha un colore ma potenzialmente potrebbe accogliere ogni altro, eppure ne avrà sempre uno e uno soltanto.

In questa riflessione sta la forza di questo lavoro, il cui soggetto (il vero corpo smembrato) diventa alla fine lo spettatore stesso con le sue credenze che, almeno per un attimo, vengono sospese, messe in dubbio, misurate secondo una scala inedita, quella di un’umanità liberata da giudizi di valore socialmente imposti.

 

 

 

 



 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

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