Untitled
“Galoppa la notte sulla sua cavalla cupa/spargendo spighe azzurre sul prato”.
P. Neruda
Le due immagini fanno parte di un progetto più ampio che attraverso un percorso visionario, mostra una natura che apparentemente sembra fluttuare in un tempo perduto che invita ad entrare in una dimensione fiabesca e spensierata. La natura appare come un non-luogo, un panorama artefatto, finto e privo di connotazione geografica, è esteticamente attraente ma ad un approfondito sguardo rivela qualcosa di sinistro, di perturbante, ci parla di una realtà ben più complessa e triste. Attraverso una sollecitazione estetica l’intento è quello di indurre ad una riflessione profonda su come l’uomo sia in grado di influenzare e danneggiare le dinamiche della terra cambiandone inesorabilmente gli equilibri.
L’intero progetto è un inganno che oscilla tra emozione visiva da una parte e riflessione interiore dall’altra. Le immagini non riconosciute dall’osservatore sono lo specchio del costante contrasto uomo/natura, dell’esito delle ultime allarmanti ricerche sull’ambiente da parte della dannosa attività umana. Tutto è illogico e surreale, l’equilibrio originario è perduto, la mutazione esasperata corre insieme all’uomo che alla fine non si accorge più dei danni collaterali del suo comportamento. Abbiamo l’idea che tutto sia in relazione all’umano e che ogni dimensione sia indipendente e autonoma mentre invece è equivalente alle altre di cui si finisce per sopprimerne l’esistenza. L’antropocentrismo che ci contraddistingue è costruito intorno alla nostra presunta superiorità nei confronti di tutte le altre forme di vita, oltre che sulla ancor più drammatica superiorità di certi tipi di umani nei confronti di altri.
Siamo drammaticamente specisti, consideriamo la vita della specie umana come se fosse l’unica da tutelare, accettiamo tutto senza farci troppe domande del tipo: perché il nostro pianeta è sempre più inquinato? Da dove arriva il nostro cibo? Di cosa sono fatti i nostri vestiti? Accettiamo tutto perché scegliamo di non vedere il mondo sommerso che regge il mondo visibile e consideriamo il primo, l’unico possibile. Ciò che non è umano è semplicemente assente. Oggi accettiamo che il problema sull’ambiente abbia un ruolo importante e che gli ecosistemi vengano tutelati a patto di rimanere ben saldi alle nostre abitudini e solo fino al punto che tutto ciò non intacchi i nostri antropocentrici privilegi.Ecco, tutto questo non basta più.
Possiamo tranquillamente parlare di crisi ecologica contemporanea, dal surriscaldamento globale, al sovraffollamento, allo scellerato consumismo, agli allevamenti intensivi ed estremamente inquinanti, alle emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo attualmente, all’estinzione di numerose specie animali, con inevitabile perdita di biodiversità indispensabile con ripercussioni in tutto l’eco-sistema.
Se l’uomo persevererà in questo senso, sarà necessario fare i conti con una nuova dimensione post-umana, che dovrà abituarsi a vivere in un pianeta massacrato dalla crisi ecologica ambientale prodotta dall’ Homo Sapiens. Le piante dal colore innaturale ed estremizzato sono il risultato di una trasformazione forzata, sono lo specchio della loro resistenza allo scempio umano, il loro adattamento all’ambiente, sono il triste cambio di habitat al quale le abbiamo costrette a vivere. Quindi, il problema sta nel chiedersi se vogliamo rimanere nell’accezione Homo Sapiens e preservare quello che resta del mondo? Oppure vogliamo entrare nell’era del post umanesimo, cercando di sopravvivere al disastro ambientale che la specie di provenienza ha causato e riprogettare il tutto sulle macerie rimaste? Nella seconda ipotesi, le forme di vita alterate potrebbero essere accettate in quanto eredità e le “spighe blu” di cui parla Neruda potrebbero essere il futuro nel quale cominciare ad agire in nome di una ricostruzione rivoluzionaria che innanzi tutto abbandoni l’antropocentrismo che ha contraddistinto l’essere umano fino ad oggi, in favore di un nuovo mondo in divenire, dove non esista più spazio per le guerre e lo sfruttamento dell’ambiente, ma solo comportamenti atti a pensare l’intero universo, come un unico insieme di tutte le cose e il mondo come una piccola parte di esso.
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