OM - (Out of Metropoliz) / 1 e 2 dicembre al Macro Asilo, via Nizza 138 Roma / Inaugurazione sabato 1 dicembre ore 18.00
OM è un’installazione sonora in cui viene riprodotta la quotidianità di Metropoliz, ex salumificio occupato di via Prenestina, nella periferia romana. L’occupazione è iniziata nel 2009, quando 200 persone (italiani, rom, sinti, sudamericani, africani) hanno forzato i cancelli dello stabilimento e l’hanno fatto diventare la propria casa. Nel 2012 nasce il MAAM - Museo dell’Altro e dell’Altrove, a tutti gli effetti il terzo museo d’arte contemporanea di Roma, che si pone a difesa dell’occupazione e porta l’attenzione sul problema dell’emergenza abitativa.
Questo lavoro nasce dallo scambio fra gli artisti, Daniela Spaletra, Andrea Luporini e Maria Grazia Cantoni, e il MAAM. La collaborazione parte con un precedente lavoro, NOT MODULAR, originariamente realizzato per la rassegna Eppur si muove di Fourteen ArTellaro, curata da Gino D’Ugo e presentato al MAAM nella primavera del 2018 all’interno della Stanza della Preghiera curata da Gianfranco D’Alonzo. Qui nasce l’idea di realizzare un lavoro insieme agli abitanti di Metropoliz, per portare questa realtà al MACRO.
OM è un ritratto sonoro della vita all’interno dell’ex fabbrica, dal costante rumore del traffico della consolare a quello dei generatori elettrici, dalle canzoni e i giochi dei bambini alla vita dentro le case fino alle chiacchiere durante le lunghe ore del picchetto davanti ai cancelli.
Metropoliz fin dalla sua nascita ha rappresentato un esempio di convivenza e di apertura, ma negli ultimi mesi si ritrova a convivere con la minaccia di uno sgombero che toglierebbe la casa a centinaia di persone.
OM - (out of Metropoliz)
M.Grazia Cantoni - Daniela Spaletra - Andrea Luporini
Installazione sonora, 20 minuti
Partire da un luogo, tracciarne una mappa sonora e tradurla in spazio.
Così può essere riassunto il lavoro realizzato all’interno di Metropoliz, l’ex salumificio occupato di via Prenestina 913. Un luogo “altro”, inteso come diverso ma anche ulteriore, dove i modi di vivere e convivere hanno confini che non corrispondono a quelli cui siamo abituati a pensare.
Un luogo su cui poter dire infinite parole ma per cui ne basterebbe una: CASA. Oggi, nel 2018, per situazioni simili a quella di Metropoliz di parole ne vengono usate altre: clandestino, illegale,abusivo, degrado, sgombero. Termini che non lasciano spazio alla realtà di un luogo abitato ma che lo trasformano in una zona grigia da nascondere sotto il tappeto o da radere al suolo per ripristinare il decoro. A Metropoliz la paura è forte, la serenità è sotto picchetto costante, come i cancelli presidiati dagli abitanti per paura di perdere la propria casa.
OM ricorda maldestramente il suono della parola inglese home, ma è anche il mantra più sacro dell’induismo, sillaba da pronunciare all’inizio e alla fine della recitazione dei Veda per evitare che la parola non abbia radici e che si dissolva, come pareti sonore poste a proteggere ciò che di più sacro esista.
I suoni registrati durante la nostra permanenza si sovrappongono, si dilatano, si rincorrono seguendo il loro naturale movimento, fra persone che arrivano, bambini che cantano, dialoghi improbabili su finte carriere calcistiche o la ricetta di un piatto peruviano, in un’ideale riscrittura della quotidianità di un luogo: Metropoliz portata fuori da Metropoliz, voci e rumori che trasformano le proprie diversità e unicità in un flusso sonoro che diventa archetipo di un’azione universale come quella dell’abitare.
IL MUSEO ABITATO
di Giorgio De Finis
“Una sola grande opera d’arte, casa e reddito per tutt*”
(Santino Drago, proposta per una scritta politica)
Metropoliz viene “fondata” il 28 marzo del 2009, il giorno in cui, forzando i cancelli dello stabilimento dismesso del salumificio Fiorucci sulla via Prenestina a Roma, 200 persone, migranti e precari provenienti da tutto il mondo, occupano questo relitto urbano per farne la propria casa e sottrarlo alla speculazione edilizia. L’occupazione è firmata dai Blocchi Precari Metropolitani, movimento molto attivo a Roma, che lotta contro la precarizzazione della vita e per il diritto all’abitare.
Visito la “città meticcia” poche settimane dopo la sua costituzione, con ancora le “sentinelle” sul tetto; una delle tante scoperte che ci regala “Primavera romana”, il giro a piedi del Grande Raccordo Anulare organizzato da Stalker alla ricerca del nuovo fronte della città. È quasi il tramonto e l’ultima luce del giorno filtra dalle grandi finestre a frangisole che guardano ad ovest, disvelando porzioni di pareti nere di fumo o di un bel marrone scuro lucido dipinto pazientemente dal tempo coi sedimenti ossidati di grasso. Un dedalo di corridoi e sale macchina, in cui mi aspetto di incontrare il Minotauro, che il nuovo proprietario dello stabile, imprenditore del mattone, consegna alle ruspe con un progetto di edilizia residenziale.
A difesa dell’occupazione e dei suoi abitanti, dall’aprile del 2012 si affianca l’arte con la nascita del Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz. Il progetto museale, figlio del cantiere cinematografico Space Metropoliz, oltre a contribuire ad evitare lo sgombero, accende un riflettore sulla grave questione dell’emergenza abitativa e allo stesso tempo evidenzia l’esempio di convivenza e di riscatto sociale realizzato da Metropoliz che – va ricordato – è anche la prima occupazione italiana che accoglie al suo interno una comunità rom.
Il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia abbandona presto la dimensione tutta speculativa e ludica che caratterizzava Space Metropoliz, per farsi pratica edificante: inizia a “costruire”, si affianca al lavoro degli abitanti nell’opera di riqualificazione degli spazi, reinventa, grazie alla partecipazione attiva degli artisti, luoghi di nuova socialità, per chi vive a Metropoliz, per il quartiere e per la città tutta.
Tra gli obiettivi che il MAAM si dà sin da principio possiamo indicare: 1) quello di creare una barricata d’arte a difesa dell’occupazione e dei suoi abitanti (le opere attaccate ai muri e alle strutture della fabbrica sono un esercito schierato); 2) evitare, o ridurre, l’effetto enclave, un rischio che Metropoliz corre dovendo proteggersi dietro un cancello chiuso (il potere attrattivo della collezione del MAAM, che ad oggi vanta più di 500 tra opere e installazioni, e delle sue iniziative periodiche crea un flusso ininterrotto di visitatori, connettendo di fatto la città meticcia con il resto della Capitale: il MAAM opera come un “dispositivo di incontro” e mette in atto precise “strategie” affinché questo incontro sia possibile e fecondo di arricchimento reciproco); 3) proporre e sperimentare un “altro” modello di museo, un museo abitato e contaminato dalla vita, che Cesare Pietroiusti ha definito “reale”; come pure, di converso, una modalità abitativa informata dalla presenza diffusa e onnipervasiva dell’arte; 4) realizzare un’opera corale (in quanto super-oggetto il MAAM non è solo un progetto artistico ma è anche un’opera d’arte). Il Museo dell’Altro e dell’Altrove è, in fondo, un grande “mosaico” alla cui realizzazione ciascun artista partecipa con la propria tessera; somiglia alla cappa multicolore e cangiante di Arlecchino descritta da Michel Serres, un vestito che è anche “pelle”, perché Arlecchino ha molto viaggiato e porta tatuati sul corpo i segni del suo peregrinare.
Pur non essendo uno strumento “identitario” che mira alla costituzione di un “noi”, il MAAM è un museo politico. Ciascun artista firma con il proprio lavoro una petizione virtuale (e non) a favore di Metropoliz, sottoscrive la lotta per il diritto alla casa, alla libertà di movimento, al lavoro, alla bellezza, all’arte e alla cultura per tutt*.
Ricucire i due punti estremi della metropoli contemporanea, il luogo più alto per eccellenza, quello del museo d’arte (il cui prezioso involucro è affidato alle archistar così da primeggiare nella classifica delle città-mondo in competizione) e il più basso e degradato, lo slum. Non è stato facile all’inizio per gli artisti “vederlo” il museo a Metropoliz, attraversando gli spazi abbandonati e fatiscenti della fabbrica. Come non è sempre facile per il visitatore distinguere le opere dalle installazioni “spontanee” che la vita di tutti i giorni genera a Metropoliz.
La magia e la sorpresa rapidamente si sono estese a tutti gli angoli della fabbrica, man mano che il testimone passava da un artista all’altro violando anche, su richiesta degli stessi abitanti, la sfera privata degli ambienti domestici.
Il futuro di questo museo “abusivo”? Affondare con la nave o meglio l’astronave-Metropoliz, qualora le forze oscure dell’Impero dovessero avere la meglio, o vincere insieme l’ultima battaglia e magari convincere anche le istituzioni e i palazzinari che è possibile e bello guardare alla Luna.
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