Plusultra
Divieto di Approdo
stampa su carta di cotone
30X30 40X40
2019-2020
Durante le riprese del video, ho
scattato delle fotografie del luogo costretto a convivere con la fluoresceina
sodica, il tracciante giallo/verde usato come indicatore che mescolato
all’acqua di mare ha creato stratificazioni di colore, paesaggi innaturali,
codici narrativi meritevoli un approfondimento ulteriore. La riflessione sui confini da quelli territoriali, culturali a quelli
personali è sicuramente ampia e complessa, in ogni caso non possiamo mai parlare di
confini assoluti, ma di entità indefinite e indefinibili, eppure spesso, come
nel caso di quelli territoriali, nascono ed emergono risultati concreti e
reali, per esempio nascono unità sociopolitiche, si combattono guerre, si
formano alleanze. Diciamo, che ogni confine
possiede una componente effettiva ed imprescindibile che genera una forma
chiusa, come il confine di uno stato, di una città, ma allo stesso tempo ne
possiede una astratta che è in continua evoluzione e che tende inevitabilmente
alla dissoluzione ed annullamento di tale rigidità, pensiamo ai confini culturali per esempio che si mescolano con quelli religiosi,
etnici ed economici.
Tale libertà della “forma”, la
capacità di diventare altro e creare nuove possibilità, nuovi paesaggi è
evidente nelle immagini che ho scattato in occasione delle riprese video e in
un secondo tempo in luoghi simbolo del mio territorio nei quali è impossibile
accedere in quanto zone militari, quindi luoghi chiusi e interdetti, come l’isola del
Tino la Torre Scola, Maralunga.
L’uso del tracciante giallo/verde
ha creato immagini alterate e decontestualizzate; ci si ritrova, davanti ad una natura che
risulta incatalogabile, dove l’intervento dell’uomo, in una sorta di sfida nei
confronti della natura stessa, restituisce delle immagini artefatte,
traumatizzate dalla presenza di una sostanza non appartenente al mondo
naturale, si crea un ambiente metafisico,
un nuovo mondo che è estraneo e sconosciuto, un mondo reale che può rivelarsi
irreale da un momento all’altro. L’interazione da’ vita ad un paesaggio poetico
e sospeso da una parte e inquietante al tempo stesso dall’altra. Il colore
giallo/verde forte e deciso, crea un paesaggio affascinante, dal cromatismo
imprevedibile, pieno di luce, dai colori brillanti che deve necessariamente
indurre ad una doppia messa a fuoco
sull’aspetto libero e selvaggio della natura e quello artificiale e più complesso
che appartiene all’umanità e sulla loro possibile convivenza e collaborazione. La restituzione fotografica
diviene quindi dimensione indefinita, che oscilla tra natura e rappresentazione
mentale, tra fascinazione e turbamento. Il lavoro iniziale sul concetto
di confine chiuso, che non riesce a rimanere circoscritto, come abbiamo visto
nel video e che quindi si mescola, si riflette anche ed inevitabilmente
sull’idea di paesaggio che diventa precario, come una sorta di sospensione
visiva ed emotiva.
Sia durante le riprese video
e gli scatti fotografici, nei luoghi
sopracitati, si assiste inermi allo spettacolo di una natura interrotta,
stratificata, malata e artificiale,
affascinante e desolante allo stesso tempo.
La stratificazione crea spaesamento,
genera sensazioni opposte che si intersecano tra loro, costruisce uno spazio
nuovo, diventa anche, mezzo di attraversamento dei territori e in certi casi,
come le zone militari, di riappropriazione simbolica degli stessi, invito
all’azione, al superamento dei limiti, delle barriere dei confini. Racconta
oltre le reali possibilità, un altro modo di intendere un paesaggio.
Ma cosa vuol dire un altro modo di intendere un paesaggio?
In una famosa lettera, “L’ascensione al Monte ventoso” scritta
da Francesco Petrarca al frate agostiniano Dionigi San Sepolcro, amico fraterno
di Francesco, nell’aprile del 1336, il poeta racconta di un viaggio, quello
della salita al monte appunto, che si svolge per lo più dentro l’anima del
poeta in un ambiente naturale inesplorato. La conquista della vetta diventa
metafora della faticosa salita verso la salvezza e dal nostro punto di vista di
lettori di oggi, anche studio del paesaggio come acquisizione artistica di
luoghi filtrati attraverso l’anima, attraverso l’emozione che il paesaggio
stesso gli ha comunicato sia come luogo reale che come luogo simbolico. Il
racconto contiene il modello di una descrizione paesaggistica frutto di una
“Artialisation” per dirla alla Roger, in quanto il paesaggio è descritto in
modo “mirabile” quasi come fosse un dipinto.
Secondo la “Teoria del paesaggio” del sopracitato filosofo
contemporaneo Alan Roger, il paesaggio(inteso come genere pittorico, ma oggi
possiamo dire anche fotografico) non esiste in natura, ma nasce da
un’interpretazione artistica, di quanto lo sguardo umano percepisce nell’osservare
un ambiente naturale, quindi frutto di un ‘artialisation’, cioè di una
interpretazione da parte dell’artista che può avvenire IN-VISU, attraverso lo
sguardo dell’artista stesso, che riproduce e traspone e IN-SITU, cioè ci fa
vedere ciò che attraverso un’operazione
intellettuale e culturale, egli vede. Ritroviamo in Petrarca, quindi, un
inconscia sensibilità nei confronti di un ambiente naturale in-situ che si
trasforma in-visu attraverso lo sguardo artistico da parte del poeta che non
interpreta il paesaggio solo oggettivamente in quanto luogo, ma anche
soggettivamente attraverso un’emozione e una riflessione intellettuale. Liberi
ormai dal concetto di arte come imitazione della natura, in quanto copiarla (o
fotografarla) in modo realistico sarebbe come sottrarre la natura alla sua
natura stessa, Roger ci invita invece ad
un processo di negazione della natura,
parla di neutralizzarla, snaturarla per
poterla restituire, attraverso un processo artistico, e poterla attraversare e
vivere con l’immaginazione ed un nuovo sguardo.
Durante la realizzazione della parte fotografica l’intervento
con l’indicatore nei luoghi sopracitati, diventa atto mentale ed emotivo che
coincide con l’ammirazione e la registrazione oggettiva della realtà, ma di
fatto con un distacco ed una sospensione da essa, per porre l’attenzione in un
suo altrove, nella possibilità di una visione ‘altra’. Non è copia della
realtà, ma atto che alla fine produce immagini irreali, soggette a creare
spaesamento percettivo, stupore ed invito ad interpretazioni soggettive, col
fine di sollecitare emozioni e possibili letture. La fotografia in questo caso,
diventa per me, un’indagine sullo stato sconosciuto e immateriale del mondo ed
una analisi sul delicato e precario rapporto tra uomo e natura, sul confine tra
reale e irreale.